Anteprima: Solo Alex

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Anteprima: Solo Alex
Anteprima: Solo Alex

Buongiorno amiche e amici,

manca poco all’uscita del mio nuovo romanzo dal titolo Solo Alex, per questo oggi vorrei regalarvi in anteprima l’incipit e una parte del primo capitolo.

Spero di riuscire a stimolare la vostra curiosità nei confronti di questo nuovo libro affinché vogliate accoglierlo nelle vostre librerie.

Non mi dilungo ulteriormente e vi lascio a

Solo Alex, in arrivo a Novembre.

1.INCIPIT

Era ferma già da un po’ davanti al citofono. Sapeva di dover suonare ma aveva paura. Temeva che tutto ciò che era venisse messo sottosopra e non era sicura di poterlo sopportare.

Al tempo stesso, però, era consapevole che le ombre stavano oscurando la luce che aveva così duramente cercato e, con immensa fatica, trovato.

Avrebbe voluto sedersi in salotto con un libro tra le mani e con un disco di Etta James a suonare sul vecchio grammofono, trovato per caso ad un mercatino dell’usato ad Arezzo.

Amava il suono della puntina che gratta sui solchi accoglienti del vinile: era come una piccola tortura inflitta, ma necessaria, per ottenere una musica liberatoria che metteva le ali ai ricordi più tristi.

Le lancette segnarono le undici.

Suonò.

Si accorse di tremare e si strinse le mani come per abbracciarle.

Il portone si aprì.

Dritto e poi a destra, la prima porta accanto all’ascensore.

Lui l’aspettava sulla soglia.

Le sorrise pronunciando un “buongiorno” che sembrava sereno.

Si accomodò sulla poltrona in pelle di fronte alla scrivania in legno che la separava da colui che le avrebbe fornito, o almeno così sperava, nuovi strumenti per distruggere la gabbia dentro alla quale si sentiva imprigionata.

La stanza luminosa profumava d’incenso.

Le finestre ariose erano aperte ma lei, con sua grande sorpresa, non aveva voglia di fuggire.

Guardandola da dietro gli occhiali tondi, con quella sua sciarpa da aviatore degli anni Trenta, la invitò a parlare.

In un solo grande respiro prese sia fiato che coraggio, poi, con la voce che le tremava, disse:

“Mi chiamo Alex Giordani, ho quasi cinquant’anni. Sono una donna. Lo specifico perché i miei genitori, mio padre più di mia madre, desideravano un maschio, per questo mi hanno chiamata così, non Alexandra o Alessandra, solo Alex. Questo ha influenzato la mia educazione e buona parte della mia vita. Non li vedo dal giorno del mio diciottesimo compleanno.”

Anteprima: Solo Alex
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Vi ho incuriosito?

Continuiamo?…

2. L’oscurità

– Dottore, sono qui perché ho paura.

Ho paura di me stessa e di ciò che provo. È come se un profondo buio mi si fosse avvicinato e, a poco a poco, si fosse impossessato di me. Mi è entrato dentro. Sono diventata oscurità.

Mi sembra di aver perso la luce.

Sin da bambina ho imparato a lottare con le ombre, ma erano più che altro quelle degli altri. Mio padre, come le accennavo, desiderava un figlio maschio e invece sono arrivata io. Mia madre non aveva preferenze, ma assecondava il marito in ogni suo pensiero, desiderio o ordine. Per questo motivo non ho mai potuto indossare nulla che fosse di colore rosa o sfumature simili, i capelli li dovevo portare corti, gonne neanche a parlarne, sport individuali, la danza non era contemplata, e la domenica sentivamo la partita alla radio.

Mio padre tifava Roma e a me il calcio non è mai piaciuto, ma non ho mai potuto ammetterlo, dovevo fingere entusiasmi e delusioni altrimenti erano guai.

Non so dirle se mio padre fosse cattivo…

In realtà forse un po’ lo era, ma io pur volendo, non lo aiutavo nel compito di amarmi.

Quando ero piccina ero molto carina, aggraziata e attiravo gli sguardi degli altri bambini. Il fatto che giocassi con le macchinine, con le biglie e che parlassi di calcio, mi rendeva popolare e avevo una bella schiera di ammiratori. Questo non era ben visto da parte di mio padre, il quale sosteneva che dovessi dare meno confidenza, che altrimenti mi sarei trasformata in una poco di buono.

Diceva che mi aveva dato un nome da maschio perché loro sono meglio delle femmine.

Stare coi maschi andava bene ma non dovevo provocarli.

Non avevo idea che cosa significasse o che cosa intendesse con provocarli, di certo, a parer suo, lo facevo e non era un comportamento ammissibile. Diceva che le risate troppo forti mi facevano sembrare una gallina, quindi ho imparato a sorridere, senza esagerare. Inoltre, sosteneva che l’assurda abitudine di guardare fisso negli occhi le persone con cui parlavo, che fossero questi bambini o adulti, mi faceva risultare sfacciata, indisponente, quindi mi impose di mantenere lo sguardo basso.

Mi sono così ritrovata a trascorrere molti pomeriggi in solitudine.

Anteprima: Solo Alex
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Non potevo invitare amici, perché li provocavo, né tantomeno amiche, perché mi portavano sulla cattiva strada. Non avevo scelta: dovevo imparare a stare da sola.

Sono diventata la mia migliore amica.

Avevo un rapporto idilliaco con la mia immagine allo specchio, le parlavo senza necessità di spiegare cosa provavo perché mi conosceva, sapeva tutto della mia vita. Esplicitare i pensieri ad alta voce però mi aiutava a sentirmi in compagnia.

Un giorno mia madre mi sorprese mentre raccontavo a me stessa di aver visto una foto bellissima, su un libro, dove le persone volavano. Erano immagini di ballerini ritratti mentre saltavano, sospesi in aria, e confessavo la mia invidia per la loro leggerezza e per la bellezza dei loro corpi. La reazione di mia madre fu quella di tirarmi via dallo specchio, chiedermi se fossi impazzita a parlare da sola, e ricordarmi che, se mio padre mi avesse beccata a fare una cosa del genere o a guardare foto sconce, mi avrebbe rinchiusa in casa per almeno un mese.

Avevo dieci anni e a nulla servì il mio tentativo di spiegarle che quelle fotografie erano sul libro di scienze motorie dove veniva illustrato il corpo umano, i muscoli, gli sport, i vari tipi di ginnastica e l’arte della danza.

Lei mi disse che ero una bugiarda e che non dovevo replicare sennò lo diceva a papà.

Non potevo che obbedire.

Osservavo i miei genitori e mi sembravano così diversi da me.

Non ridevano mai di gusto, non si tenevano la mano, non c’era mai un complimento per quello che mamma cucinava o portava in tavola, anzi, quasi sempre non andava bene.

Tutto era sbagliato. Tutto era stridente, triste.

Avevo visto i genitori di alcuni miei compagni di classe venire a volte insieme a prendere i figli a scuola, abbracciarli, portar loro un regalino.

A me non portavano mai nulla, non erano soliti abbracciarmi perché era un atteggiamento da deboli e a prendermi veniva sempre mia madre, perché mio padre lavorava.

Lavorava tanto e per questo era sempre molto stanco e non bisognava disturbarlo. Solo la domenica, davanti alla partita, ci si poteva lasciar andare a urlare, saltare e abbracciarsi se si vinceva.

Se, al contrario si perdeva, meglio star zitti altrimenti c’era il rischio di prendere uno schiaffone.

Per fortuna a scuola sono sempre andata bene.

Studiare mi aiutava a non pensare e la mia memoria fotografica mi permetteva di apprendere in fretta.

I buoni risultati erano motivo di orgoglio per i miei, ma era anche un obbligo da parte mia ottenerli, per ricambiarli di tutto quanto facevano per me come ad esempio, darmi una casa, del cibo, dei vestiti, un regalo al compleanno, un altro a Natale e infine una vacanza di una settimana al mare durante l’estate.

Era la mia vita.

Sebbene infinite volte mi sentissi invisibile, non amata, indesiderata e sbagliata, non osavo oppormi a quella situazione perché mi avevano insegnato che l’ubbidienza veniva prima di tutto.

Chi non ubbidisce è un maleducato e farà una brutta fine.

Mi convinsi perciò che, in un modo del tutto particolare, i miei genitori mi amassero e che desiderare di più fosse un atto di mero egoismo da parte mia.

Mio padre alzava spesso la voce, urlava contro mia madre, contro di me, contro i padroni, contro il mondo. Sembrava fosse sempre infuriato.

A volte, quando la rabbia diventava accecante, magari perché mia madre osava rispondere, alzava le mani.

Due sberle ben assestate e lei finiva in un angolo della stanza a chiedere scusa per aver parlato.

Io non capivo, avevo solo tanta paura che impazzisse del tutto e mi nascondevo.

Non ho mai avuto la forza o il coraggio di proteggerla. Mi tappavo occhi e orecchie, sperando finisse tutto in fretta.

Per fortuna non durava mai troppo a lungo e, quando mi riaffacciavo per controllare la situazione, lei era in cucina e lui davanti al televisore.

Ero consapevole che quello non poteva essere amore, ma non osavo farlo notare.

Chi ero per parlare o per esprimere un’opinione?

Ero solo una bambina.

In questo modo sono cresciuta e diventata una giovane adolescente che non chiedeva mai nulla, ma stava in silenzio e cercava di non disturbare.

Poi un giorno al liceo, era l’ultimo anno, avevo quasi diciotto anni, venni premiata per un tema che avevo fatto su Dante Alighieri e l’ascesa in Paradiso.

Fu così che in via del tutto straordinaria, mi concessero di invitare un’amica a casa per studiare insieme per la maturità. Non era mai successo prima. Ero emozionata e felice.

Decisi di chiederlo alla mia compagna di classe Sara.

Lei era sempre molto gentile con me, vestiva in modo elegante, era intelligente e, secondo me, bellissima. –

*

Alex non poté raccontare altro perché il tempo a disposizione era scaduto.

Si sarebbero rivisti la settimana successiva per proseguire il racconto.

Il dottore non aveva detto molto, aveva più che altro scritto, ma l’aveva ascoltata con attenzione, guardandola negli occhi e facendola sentire a suo agio.

Alex aveva imparato a sollevare lo sguardo, ma non sempre si sentiva comoda a guardare negli occhi il proprio interlocutore, una sensazione di disagio, mista a un latente senso di colpa, era continuamente in agguato.

Con quell’uomo però era meno complicato, il suo sguardo non la giudicava, la accoglieva.

Sentiva di aver scelto la persona giusta.

Quel lungo monologo l’aveva decisamente sfiancata, per questo decise di entrare nel Caffè Bistrot all’angolo della via e di prendersi qualcosa di caldo da bere.

Ordinò una tisana ai frutti rossi e la sorseggiò con estrema lentezza.

Anteprima: Solo Alex
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Ad ogni sorso riviveva momenti della sua infanzia, della sua adolescenza e sentiva le lacrime affiorare.

Non avrebbe mai permesso a se stessa di piangere in un luogo pubblico: cosa mai avrebbe pensato la gente di lei?

Mentre buttava giù la bevanda calda e con essa le lacrime indesiderate, la vide entrare.

…Continua sul libro.

Che ne pensate? Vi ho incuriosito?

Avete voglia di conoscere Alex?

Lei ha molta voglia di incontrarvi.

A prestissimo!

PS: aspetto i vostri commenti

PPS:

Per chi nel frattempo volesse leggere gli altri romanzi, vi lascio di seguito i rispettivi links

Incastri

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Ossa di angeli

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Il giardino del silenzio

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I miei romanzi
I miei romanzi

Questo articolo ha 10 commenti.

  1. Claudia Marson

    E che dire …. Se non che la mia curiosità e voglia di leggere il tuo nuovo libro cresce a dismisura!!!
    Non vedo l’ora di poterlo avere tra le mie mani
    La tua bravura sta crescendo con te complimenti Roberta cara ❤️

    1. Roberta Leonardi

      Grazie per le tue parole e per l’entusiasmo che mi dimostri per le mie pubblicazioni. Grazie di cuore, Claudia.

  2. Roberta

    Molto bello, invita senza dubbio al proseguo. Come sempre sai fare tu , brava Roberta

    1. Roberta Leonardi

      Sono felice di averti fatto venire voglia di continuare. Grazie Roberta 🙏

  3. Maura

    Molto incuriosita , complimenti Roberta lo hai fatto in modo ineffabile!👏👏

    1. Roberta Leonardi

      Grazie mille Maura 🙏

  4. Genny

    Cara Roberta a parte la voglia e la curiosità di avere tra le mani il tuo libro, ma sono certa che ci prenderai per mano e in punta di piedi, entreremo nella vita …passata e futura di Alex. Già mi piace tanto..con affetto Genny

    1. Roberta Leonardi

      Grazie Genny, grazie per la tua meravigliosa disponibilità ad accogliere le mie storie. Grazie infinite 🙏

  5. Maria Giovanna

    Mi sembra un buon inizio per cominciare a conoscere il tuo nuovo romanzo…mi hai incuriosito molto

    1. Roberta Leonardi

      Mi fa molto piacere! Grazie Maria Giovanna 🙏

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